In edilizia, come in molti altri settori, esistono vari dubbi linguistici. Cerchiamo di chiarire i seguenti:
Èdile o Edìle?
Non vi è dubbio che la pronuncia corretta sia Edìle, con l’accento sulla i.
Infatti deriva da aedes, che voleva dire tempio, casa, costruzione. I Latini fecero il nome aedìlis per i magistrati che si occupavano di opere pubbliche; in italiano dunque, edìle.
Uténsile o Utensìle?
I dizionari consultati suggeriscono l'accento sulla prima se il vocabolo è usato come aggettivo (es.: macchina utènsile); come sostantivo invece viene suggerito l'accento sulla seconda (es.: gli utensìli del falegname).
Aerazione o Areazione?
Si dice aerazione. Meno comune il termine aereazione. Areazione è invece sbagliato, in quanto il termine deriva da aere, cioè aria.
Lucernaio o Lucernario?
I dizionari confermano l'esistenza di entrambi, indicando il secondo come più raro.
Redarre o Redigere?
Il verbo corretto è redigere. Il termine redarre, che Garzanti indica come errato e Zingarelli come termine da evitare, deriva dal passato redatto, e dal sostantivo redazione; ma l'etimologia corretta del termine è il latino red + agere, ovvero ricondurre.
Manutentare o Manutenere?
Il primo termine non esiste, mentre il secondo è considerato arcaico, coniugato come il verbo tenere. L'uso comune odierno è solo per il suo sostantivo derivato manutenzione.
Province o Provincie?
Sul plurale di nomi e aggettivi che terminano in -cia e -gia c’è grande incertezza:
ciliege o ciliegie? Province o provincie?
L’incertezza nasce dall’etimologia, cioè dalla storia della parola (dal greco étymon, significato vero, e logos, discorso, trattazione, studio). Siccome sarebbe impossibile ripercorrere ciascuna di queste storie per trovare una risposta, per risolvere il problema si è trovata una “regola di comodo”. Eccola:
– le parole dove le terminazioni -cia e -gia sono precedute da vocale fanno il plurale in -cie e -gie: dunque ciliegie, camicie, grigie, micie, valigie;
– le parole dove -cia e -gia sono precedute da consonante fanno il plurale in -ce e -ge: province, pance, pronunce, bisacce, gocce. Rientrano in questo caso anche le parole in -scia, che nel plurale termineranno sempre in -sce: fascia, fasce; striscia, strisce; ascia, asce.
È appunto una regola di comodo, di fronte alla quale c’è chi oppone un ragionamento semplice: siccome il c e g rimane “dolce” sia dopo la i che dopo la e, che bisogno c’è di mantenere, ora sì, ora no, quella i? Eliminiamola e basta: ciliege e province.
Il titolo del romanzo postumo della fiorentina Oriana Fallaci è “Un cappello pieno di ciliege”, senza la i che la suddetta regola vorrebbe. Questione, dunque, tutt’altro che risolta, anzi in evoluzione, con una chiara tendenza alla progressiva eliminazione della i, come registrano anche le grammatiche.
È chiaro comunque che tutto questo discorso non vale per le parole dove la i di -cia e -gia sia tònica cioè accentata, come in farmacía, nevralgía, bugía, nostalgía eccetera. Qui la i è necessaria e rimane indiscutibilmente anche nel plurale: scriveremo farmacíe, nevralgíe, bugíe, nostalgíe eccetera.
Fonte: http://dizionari.corriere.it/dizionario-si-dice/C/ciliegie.shtml